Nativi digitali e diritti d’autore in una ricerca condotta presso l’Università La Sapienza di Roma

Filippo Sugar, divenuto recentemente presidente di Siae, sta investendo molto nella comunicazione. Il nuovo sito della Società degli autori ed editori sarà pronto entro l’estate e si propone di parlare con chiarezza, trasparenza e semplicità ai propri associati e a tutti coloro che ne vogliano utilizzare le opere. L’obiettivo? Far capire cos’è il diritto d’autore e convogliarne al pubblico un’idea più moderna, meno figlia di un protezionismo che, nell’era digitale, ha perso ogni senso.
Ma cosa ne sanno i giovani, i famosi nativi digitali, del diritto d’autore? La domanda sorge spontanea se si valutano le pratiche “piratesche” di coloro che, fin da piccoli, si sono tuffati nello schermo di dispositivi tecnologici ed hanno mangiato stringhe di programmazione al posto del più tradizionale piatto di spaghetti.
In una ricerca condotta presso l’Università La Sapienza di Roma, si è preso un campione di riferimento di giovani iscritti a facoltà che dovrebbero avere qualcosa a che fare con il copyright. I futuri filosofi, avvocati o esperti di comunicazione navigano in internet tutti i giorni o quasi e sono particolarmente interessati ai prodotti musicali, seguiti da quelli cinematografici. Raramente, si parla di libri.
Più del 90% del campione scarica abitualmente files da internet secondo gli interessi citati sopra. Per quale ragione scaricano dal web? Semplicemente perché non si paga nulla e, a volte, perché si riescono a reperire brani introvabili nei negozi tradizionali. Al contrario di Filippo Sugar che paga l’abbonamento per ascoltare brani, più spesso in streaming, da progammi come Spotify, i nativi digitali sembrano essere dei pirati in bilico tra il riconoscimento del proprio illecito e, dunque, della necessità di pagare i diritti d’autore, e la totale mancanza di etica.
Uno dei punti focali della ricerca, infatti, evidenzia che la quasi totalità degli intervistati scarica files da internet, ma che il 30% dei ragazzi ritiene mediamente opportuno retribuire correttamente i creatori delle opere ed un 40% che è un po’ meno d’accordo. Un altro 20% non paga perché sente la cosa come ingiusta, mentre il restante esiguo gruppetto di nativi è per la difesa del diritto d’autore.
Il fatto è che questi ragazzi se ne infischiano dell’autorità. Non si sentono pirati, ma pionieri che navigano un mondo più vasto di quello che possiamo immaginarci e dove c’è ancora molto da scoprire. Il web senza regole e senza etica diventa una sorta di far west dove tutti possono cavalcare in libertà scaricando contenuti gratuiti perché così è la democrazia. Soprattutto dove lo spazio è sconfinato.
Il punto che, forse, sfugge ai nativi è quello che evidenzia con costanza Filippo Sugar: la mancata retribuzione del lavoro creativo rende impossibile il proseguimento delle attività, la generazione delle idee. Novità e cambiamento sono possibili dove ci sono risorse sufficienti ed un mercato disposto a sostenere i costi della diffusione della buona musica, delle belle opere e della cultura italiana nel mondo.